sabato 19 luglio 2014

ARTE: "REPORTAGE CINA, parte 3 - Elle Bi"


Terza e ultima parte del reportage cinese per immagini del nostro inviato Elle Bi

1. Tempio nel centro di Tagong
























2 Nei dintorni di Tagong



3. Tempio appena fuori Tagong


4. Buddha gigante di Leshan

d Elle Bi per la rubrica "ARTE"

venerdì 18 luglio 2014

LETTERATURA: "URLO MA NESSUNO MI SENTE - Elle Bi"


Camminiamo fra milioni di facce impaurite,
fra nevrosi assassine,
assassini in maschera,
maschere da tutti i giorni,
obbligatorie per sopravvivere,
siamo scimmie un po' più avanti,
gli unici in grado di sopportare i palazzi in fiamme,
i mitra bambini,
che urlano sparando vite,
urlano consumandosi al cherosene,
tutto questo è realtà,
 realtà letale,
mortale,
fetale,
realtà di tutti i giorni,
realtà apparente,
urlo ma nessuno mi sente,


il vecchio mi guarda biascicando parole,
imprecando parole,
maledicendo la mia generazione,
maledicendo il neon della gente,
gente che possiede oggetti come fossero persone,
scarpe come libri,
cellulari come figli,
figli della nostra generazione,
figli della generazione che fu,
ma ora rimane poco o niente,
urlo ma nessuno mi sente,


talenti bruciati come alberi,
corrosi come acido,
corrosi dall'acido,
neon negli occhi della gente,
tic come fossero zanzare,
tutti pronti a danzare,
danzare urlando frasi al cielo,
urlare danzando sopra al cielo,
la pistola abbaia nella notte,
trapassando milioni di vite,
vite come noccioline,
marroni come il fango in faccia,
rosse come il tetto in fiamme,
rosse come il taglio letale,
la gioia mortale,
urlo ma nessuno mi sente,

urlando dimentico chi sono,
ma guardandomi intorno capisco cosa sono,
essere umano,
essere strano,
il bambino che fui ride nel passato,
corre nel presente,
si muove nell'agglomerato urbano,
farfuglia parole con il naso tappato,
la bocca sempre pronta a parlare,
a sbraitare,
imperscrutabile nel suo candore,
l'uomo che non batte ciglio per il fetore,
è l'uomo moderno,
il cinico guerriero,
mi guardo allo specchio e urlo,
ma nessuno mi sente.

di Elle Bi per la rubrica "LETTERATURA"


giovedì 17 luglio 2014

MUSICA: "P.S. YOU ROCK MY WORLD - Eels"



Che dire, mancano poche ore all'inizio del concerto degli Eels a Firenze, all'Anfiteatro Romano di Fiesole. Me ne sto seduto in poltrona ripensando a tutte le emozioni che mi hanno fatto vivere gli Eels col passare degli anni. Fra poco sentirò The Cautionary Tales of Mark Oliver Everett (2014) dal vivo, mi sento scosso, ma allo stesso tempo vorrei essere già lì, schiacciato sul mio posto numerato – di solito non compro biglietti numerati – ad osservare Mr. E muoversi sul palco, sputare fuori sbagli, lamenti, vita e tanto altro. Ho scelto P.S. You Rock My World non perché penso che sia la più bella canzone di quel capolavoro che è Electro-Shock Blues, ma perché rappresenta la speranza. Un bagliore di speranza in un album dalle tinte tetre, dai colori slavati, un album che trasuda malinconia. Un album che rappresenta il dolore di un uomo davanti alla morte della propria sorella; quella Elizabeth che ci ha emozionati fin dalla prima canzone, fin dalle prime note dolenti che non possono che struggerci anima e cuore. Quando ripenso a quest'album partorito nel lontano 1998 non posso che commuovermi, perché inevitabilmente ripenso a quante volte lo abbia ascoltato in un loop infinito, ripenso ai dolori della mia vita, ripenso al mio primo amore, a quell'amore improvviso che ti coglie alla sprovvista e ti spacca il cuore, ma la prima cosa a cui ripenso sono le parole di Mr. E, quelle parole di fine disco che in mezzo a tanta morte e disperazione lasciano aperta una porta da cui trapela uno spiraglio di luce: “I was at a funeral the day I realized I wanted to spend my life with you”. Proprio così ci confida quasi segretamente Mark Oliver Everett, fondatore degli Eels, con il suo lo-fi rock che non porta niente di nuovo, ma ha il pregio di distanziarsi dalla massa, di portare lutti e tragedie sul palco scaldando l'anima di tutti noi.

di Elle Bi per la rubrica "MUSICA"

martedì 15 luglio 2014

NEWS: "IL “ROSEO” MONDO DELL’ IMMIGRAZIONE BENGALESE – Parte 1"


Una cosa che non ho potuto fare a meno di notare, tra l’infinità di cose che non si può fare a meno di notare nella Città Eterna, è la massiccia presenza di immigrati del Bangladesh. Questo fenomeno, se da una parte ha contribuito a far salire le mie skills di “rifiuto delle rose” da base ad avanzato, dall’altra ha alimentato una certa curiosità nei confronti di questo universo invisibile che è il Bangladesh romano.

Facendo alcune ricerche ho scoperto che Roma è, dopo la capitale del Bangladesh Dhaka, Calcutta e Londra, la quarta capitale al mondo per numero di bengalesi. Una forte presenza di questo gruppo etnico si trova tra Torpignattara e il Pigneto, tant’è che questa zona è riuscita a guadagnarsi l’appellativo di  Banglatown. L’immigrazione è soprattutto maschile: si viene in Italia con l’intento di mantenere le famiglie lasciate a casa. E per farlo si accetta di fare qualunque lavoro, supportati dalla comunità, e con la speranza di riuscire a ritagliarsi un futuro migliore. Tuttavia, se da un lato una consistente parte di questi migranti si riversa all’interno delle cucine dei ristoranti – italiani e non – o dietro a banchi o negozietti che vendono generi alimentari tipici e non solo, dall’altro una altrettanto consistente parte svolge lavori, per così dire, di fortuna.


Oltre alla visibile presenza di “rosari”, venditori di rose presenti in tutte le principali città d’Italia, a Roma vi sono altri due ruoli ricoperti da ragazzi bangladeshi: il lavavetri e l’aiuto clienti alle pompe di benzina – mi riferisco ai ragazzi che lavorano durante l’orario self-service. Probabilmente per l’immenso dolore derivante dalla non rielezione di Iva Zanicchi come parlamentare Europea, dal controllo sulla mente esercitato dalle scie chimiche nonché dalla dieta a base di pasta che il mio stipendio da tirocinante mi permette di concedermi, ho iniziato a pormi delle domande sulla possibile esistenza di una sorta di cupola dietro ai bengalesi che svolgono una delle tre professioni menzionate.  

Dopo essermi fatto un giro nella colorata e multietnica Torpignattara – che anche se non è Brick Lane, ha una presenza di abitanti dell’etnia in questione di tutto rispetto – ho deciso di fare alcune domande ad Asimasim, un ragazzo 22enne che lava i vetri al semaforo sotto casa mia. Nonostante le mie (forse eccessive) aspettative, l’intervista si è rivelata utile quanto un culo senza buco dato che il gap linguistico tra me ed il mio amico Asim, non colmabile neanche con l’inglese, non ha permesso di portare le mie indagini dove volevo. In realtà qualche notizia utile sono riuscito ad estrapolarla, ma andiamo per gradi.

La mia prima conoscenza con i sempresorridenti amici del Bangladesh risale a un po’ di anni fa, quando lavoravo nella ristorazione a Firenze. I miei padroni nazifascisti mi intimavano di scacciare gli invadenti rosari che disturbano i nostri avventori. Tuttavia, il generale senso di rifiuto di un certo tipo di potere mi portò a diventare amico di quelli più gentili, che lasciavo entrare di sgamo nel locale, facendo finta di non vederli. La mia amicizia con il mondo Bangla si è poi consolidata in un successivo episodio, svoltosi a 8mila metri di altezza su un volo della compagnia Airbangladesh, mentre tornavo da un viaggio esotico. Il mio vicino di posto era originario di Dhaka e, dopo avermi sorpreso rispondendo al mio: “Hi, what’s your name?” con un calorosissimo: “A bello, me chiamo Nazim, faccio er fornaro”, ha tradotto per me il messaggio che il capitano aveva diffuso dagli altoparlanti nella sua lingua. Dandomi così la lieta notizia che stavamo facendo una sosta ad Abu Dhabi perché il carburante stava finendo. La buona fede e la simpatia di quell’uomo, che mi hanno fatto valutare se riunirmi al gregge di Gesù Cristo una volta baciato il suolo a Fiumicino, mi sono sempre rimaste nel cuore.

via Flickr 
Alla luce dell’affetto che nutro per questa etnia, mi son sentito in dovere di indagare per sbarazzarmi della teoria complottista che si è annidata nella mia mente, che ogni tanto si impossessa di me portandomi a domandarmi: esiste un Don Rosario a capo della Banglamafia? Vi è una sede segreta dove avviene la distribuzione tra i vari bengalesi dei semafori, benzinai e piazze romane? Una volta avvenuta la distribuzione, si deve pagare un pizzo per mantenere la propria zona? I bengalesi vogliono pijarse Roma?

Qui rientra in gioco Asimasim. Nonostante la nostra conversazione abbia rasentato l’assurdo più di  una novella di Samuel Beckett, sono riuscito ad ottenere delle informazioni di base che mi hanno permesso di allontanare per un po’ le mie angosce sulla Banglamafia. All’opposto, la conversazione con Asim mi ha portato a supporre che la comunità bengalese romana sia il popolo  segretamente eletto da Carlo Marx per mettere in pratica la sua teoria comunista, tanto evidenti erano i concetti di fratellanza, di condivisione e di uguaglianza. Asim ha tracciato i rincuoranti contorni di una collettività pacifica che si aiuta nel difficile task dell’integrazione in terra straniera.

Tuttavia la cosa non è bastata a farmi smettere di pensare alla possibile esistenza della Banglacupola e così ho smosso i miei contatti per effettuare altre interviste sul campo, per dare una risposta finale alle mie opprimenti domande. Su tutte: esiste (e come funziona) una sorta di Banglamafia o, piuttosto, gli immigrati Bangladeshi sono un modello di aiuto fraterno da cui imparare?

To be continued..


di IT per la rubrica “NEWS DAL FUTURO”.

lunedì 14 luglio 2014

CINEMA: "STAND BY ME - Rob Reiner"


Tratto da un racconto di Stephen King (The body) Stand by Me, uscito nel 1986, rappresenta il capostipite o punto di riferimento imprescindibile (molto più del coevo I Goonies di Donner) per tutti quei film che affrontano la tematica del travagliato passaggio dall’infanzia all’adolescenza prevalentemente in forma di romanzo d’avventura (esempio recente è stato Un’estate da giganti dell’attore-regista Bouli Lanners). Quello di Reiner (conosciuto per il divertentissimo Harry ti presento Sally) è senza dubbio un piccolo capolavoro tanto semplice quanto coinvolgente ed emozionante che racconta con sensibilità le avventure, le amicizie, il senso di responsabilità di un gruppo di ragazzi nei quali non possiamo non identificarci, perché le loro avventure sono state le nostre ed i loro amici assomigliano così tanto ai nostri.

1959. Un gruppetto di quattro ragazzini della cittadina di Castle Rock (Oregon) venuti a sapere che il cadavere di un loro coetaneo scomparso giorni prima è stato casualmente ritrovato nel bosco, lungo la ferrovia, dal fratello di uno dei ragazzi, decidono di incamminarsi, zaino in spalle, per coprire i chilometri che li separano da quel corpo senza vita. Per prendersi il merito della scoperta ma soprattutto per trovarsi di fronte a qualcosa che alla loro età gli sembra tanto grande quanto misterioso: la morte.

Gordie Lachance è il protagonista ed il narratore onnisciente (in voice off) della storia, un ragazzo sensibile e molto intelligente destinato a diventare uno scrittore (forse, nel racconto originale, lo stesso King). Chris Chambers (il rimpianto River Phoenix) è il suo inseparabile amico, leader carismatico del gruppo, considerato in paese un poco di buono anche perché fratello minore di Caramello Chambers, membro della banda di teppistelli della zona, capeggiata da Ace. Teddy Duchamp è invece lo scemotto del gruppo il cui padre ex militare è rinchiuso in manicomio. Vern Tessio, infine, è il cicciottello un po’ ingenuo del gruppo. È soprattutto attraverso il rapporto fraterno tra i primi due che Reiner ci fa provare un insostenibile senso di nostalgia verso un’età della vita ormai passata. Gordie e Chris con le loro rispettive debolezze (il difficile rapporto con i genitori dopo la morte del fratello maggiore tanto amato l’uno, la difficoltà di riscattare una ingiusta cattiva reputazione l’altro) riescono a sostenersi e spronarsi verso un percorso di crescita che, sospeso per il breve volgere di un’estate, ben più del cadavere, li attende alla fine dell’avventura.

Alla fine, i nostri quattro eroi, riusciranno a trovare il corpo del giovane ragazzo, ma più della meta, in questo caso, ciò che conta è il viaggio, durante il quale scopriranno qualcosa di molto più importante.

di Diccì per la rubrica "CINEMA"

sabato 12 luglio 2014

venerdì 11 luglio 2014

NEWS: "FLESSIBILITA' O NON FLESSIBILITA', IL MONDIALE CONTINUA"




All’indomani di un trionfo della Germania a Rio de Janeiro, un’altra partita ben più ardua si sta giocando ormai da mesi tra Roma e Berlino. In campo le squadre non sono certo formate da sportivi di grande caratura ma al contrario, una certa senescenza dei giocatori accomuna entrambe le formazioni. E la posta in palio non è la soddisfazione di sollevare in aria una grande coppa laccata d’oro, ma bensì quella di portare a casa una messa in discussione, o meno, del nuovo nemico numero uno: il fatidico tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e PIL, tanto caro a Weidmann, presidente della banca centrale tedesca, e compagni (formazione tedesca), e mai così stretto per Renzi e i suoi (formazione italiana).

A volte mostrare un po’ i muscoli per cercare di soverchiare uno status quo poco vantaggioso fa sicuramente parte di quella téchne politica di cui Machiavelli fu un sopraffino speculatore. Anche la ricerca di un capro espiatorio da dare in pasto ad una folla inferocita (l’elettorato) fa sempre parte di un gioco proprio del centauro-politico (per usare ancora una riuscita similitudine del pensatore fiorentino), che oltre al logos proprio dell’uomo, non deve peritarsi di usare anche l’astuzia, propria di un animale quale la volpe (da qui l’immagine del policy maker metà uomo e metà animale). Attenzione quindi a scegliere per quale squadra tifare in questo grande “classico” quale è Italia-Germania, partita dal significato squisitamente politico (oltreché economico, certo) dove forse non è così scontato portare in alto i colori della bandiera di casa propria.

Come scrissi già in un articolo precedente, la scelta di un tale limite fu piuttosto approssimativa ma sottintendeva una ratio dalla semplicità quasi disarmante: il tasso di crescita medio nell’eurozona agli inizi degli anni 90’ (quando, dopo Maastricht, la soglia del 3 per cento di deficit fu estesa a tutti i paesi euro) ancora galoppava ed in una logica di lungo periodo, questo avrebbe significato un sostanziale equilibrio del rapporto tra stock del debito di un paese ed il suo prodotto interno. Alla luce di questa prima osservazione quindi, ricordando che le stime OCSE del tasso di crescita italiano di quest’anno sono pari allo 0.6 per cento, ed ipotizzando raggiunta la soglia decretata da Bruxelles, vi è una forbice pari a 2.4 punti che si traduce in un perpetrarsi della corsa del debito sovrano che da qualche anno pare davvero inarrestabile (pari al 132 per cento lo scorso anno; durante la crisi dello spread che portò alla nascita del governo Monti, tale valore si aggirava attorno a 120 punti percentuali). Prendere a prestito danaro, ricordiamoci, non è privo di conseguenze: nel 2013 gli interessi pagati dall’Italia sono stati pari a circa 82 miliardi di euro ed ISTAT rivela che ammontano a 318 i miliardi sborsati negli ultimi 4 anni per la stessa voce d’uscita. Per un paese che non cresce (e che realisticamente non lo farà in maniera davvero sostenuta ancora per molto; l’Italia è poi un’economia matura ed è perciò irrealistico immaginarsi nuovamente tassi di crescita da “boom economico”), questo significa continuare a condannare le generazioni presenti e future ad avere una enorme spada di Damocle sempre appesa sopra la testa e ad essere vittime potenziali del “sentiment” degli amorali mercati finanziari. Alla prima nuova avvisaglia di inceppamento del motore italiano, lo spread col Bund tedesco schizzerebbe ancora alle stelle e con questo, il costo di chiedere nuovo debito: insostenibile sarebbe poter ripagare i nuovi e i precedenti interessi e le conseguenze di un tale avvenimento sono facili da immaginarsi.

In un celebre paper di Blanchard e Quah del 1989 inoltre, viene mostrato come uno shock dal lato della domanda (come quello portato ad esempio da un aumento di spesa pubblica non per investimenti) abbia sul PIL degli effetti aumentativi in realtà temporanei, a maggior ragione in una situazione come quella attuale dove il capitale è con tutta probabilità sottoutilizzato. ISTAT ha recentemente dichiarato che il livello dei consumi nella penisola è tornato a quello di 12 anni fa. E’ normale quindi che si pretendano ancora delle riforme strutturali al nostro sistema paese, il quale mostra ancora dei forti attriti interni alla crescita che andrebbero assolutamente eliminati, prima di continuare ad ingigantire un ormai mostruoso stock di debito con la scusante di pompare carburante in un sistema dai molti problemi “tecnici”. E di margini di manovra a guardar meglio sembrano essercene di numerosi. Durante il periodo tra il 2007 ed il 2013 ad esempio, dei 49.5 miliardi di euro di fondi strutturali europei, solo il 40 per cento di questi è stato speso (fonte Il Sole24 Ore), mettendo in luce tutta l’incapacità della macchina burocratica nostrana di gestire un tale tesoro, in periodi di vacche magre come questi assai prezioso. Un più razionale uso di tali risorse sarebbe sicuramente auspicabile. 

Recentemente la Corte dei Conti ha poi lanciato un j’accuse contro quella foresta di aziendine ed aziendette a partecipazione regionale e comunale delle quali un terzo è in perdita e la cui gestione costa alle tasche del contribuente ben 25 miliardi l’anno. Sicuramente un serio e tanto millantato new deal dovrebbe tentare di colpire e limitare un tale insensato sperpero. Visto poi il poco senso di responsabilità mostrato dall’attuale classe politica che, nonostante la crisi profonda sembra formata da “stupide galline che si azzuffano per niente” (cit. Battiato), creare un precedente permettendo di superare l’attuale vincolo di bilancio imposto dall’Europa potrebbe verosimilmente rallentare quel processo riformatorio ora in atto e mai così necessario, la cui gestazione è ancora tumultuosa e che maggiore tempo (perché la  questione del 3 per cento è soprattutto questo) potrebbe rallentare ed annacquare.

Siete ancora convinti di voler tifare gli “azzurri”? O forse cercare un posto nella curva dei tifosi tutti wurstel, crauti e birra alla spina non è poi così insensato?



di Maste per la rubrica "NEWS DAL FUTURO".