sabato 19 luglio 2014
venerdì 18 luglio 2014
LETTERATURA: "URLO MA NESSUNO MI SENTE - Elle Bi"
Camminiamo fra milioni
di facce impaurite,
fra nevrosi assassine,
assassini in maschera,
maschere da tutti i
giorni,
obbligatorie per
sopravvivere,
siamo scimmie un po'
più avanti,
gli unici in grado di
sopportare i palazzi in fiamme,
i mitra bambini,
che urlano sparando
vite,
urlano consumandosi al
cherosene,
tutto questo è
realtà,
realtà letale,
mortale,
fetale,
realtà di tutti i
giorni,
realtà apparente,
urlo ma nessuno mi
sente,
il vecchio mi guarda
biascicando parole,
imprecando parole,
maledicendo la mia
generazione,
maledicendo il neon
della gente,
gente che possiede
oggetti come fossero persone,
scarpe come libri,
cellulari come figli,
figli della nostra
generazione,
figli della
generazione che fu,
ma ora rimane poco o
niente,
urlo ma nessuno mi
sente,
talenti bruciati come
alberi,
corrosi come acido,
corrosi dall'acido,
neon negli occhi della
gente,
tic come fossero
zanzare,
tutti pronti a
danzare,
danzare urlando frasi
al cielo,
urlare danzando sopra
al cielo,
la pistola abbaia
nella notte,
trapassando milioni di
vite,
vite come noccioline,
marroni come il fango
in faccia,
rosse come il tetto in
fiamme,
rosse come il taglio
letale,
la gioia mortale,
urlo ma nessuno mi
sente,
urlando dimentico chi
sono,
ma guardandomi intorno
capisco cosa sono,
essere umano,
essere strano,
il bambino che fui
ride nel passato,
corre nel presente,
si muove
nell'agglomerato urbano,
farfuglia parole con
il naso tappato,
la bocca sempre pronta
a parlare,
a sbraitare,
imperscrutabile nel
suo candore,
l'uomo che non batte
ciglio per il fetore,
è l'uomo moderno,
il cinico guerriero,
mi guardo allo
specchio e urlo,
ma nessuno mi sente.
di Elle Bi per la rubrica "LETTERATURA"
giovedì 17 luglio 2014
MUSICA: "P.S. YOU ROCK MY WORLD - Eels"
Che
dire, mancano poche ore all'inizio del concerto degli Eels a Firenze,
all'Anfiteatro Romano di Fiesole. Me ne sto seduto in poltrona
ripensando a tutte le emozioni che mi hanno fatto vivere gli Eels col
passare degli anni. Fra poco sentirò The Cautionary Tales of Mark
Oliver Everett (2014) dal vivo,
mi sento scosso, ma allo stesso tempo vorrei essere già lì,
schiacciato sul mio posto numerato – di solito non compro biglietti
numerati – ad osservare Mr. E muoversi sul palco, sputare fuori
sbagli, lamenti, vita e tanto altro. Ho scelto P.S. You
Rock My World non perché penso
che sia la più bella canzone di quel capolavoro che è Electro-Shock
Blues, ma perché rappresenta la
speranza. Un bagliore di speranza in un album dalle tinte tetre, dai
colori slavati, un album che trasuda malinconia. Un album che
rappresenta il dolore di un uomo davanti alla morte della propria
sorella; quella Elizabeth che ci ha emozionati fin dalla prima
canzone, fin dalle prime note dolenti che non possono che struggerci
anima e cuore. Quando ripenso a quest'album partorito nel lontano
1998 non posso che commuovermi, perché inevitabilmente ripenso a
quante volte lo abbia ascoltato in un loop infinito, ripenso ai
dolori della mia vita, ripenso al mio primo amore, a quell'amore
improvviso che ti coglie alla sprovvista e ti spacca il cuore, ma la
prima cosa a cui ripenso sono le parole di Mr. E, quelle parole di
fine disco che in mezzo a tanta morte e disperazione lasciano aperta
una porta da cui trapela uno spiraglio di luce: “I was at a funeral
the day I realized I wanted to spend my life with you”. Proprio
così ci confida quasi segretamente Mark Oliver Everett, fondatore
degli Eels, con il suo lo-fi rock che non porta niente di nuovo, ma
ha il pregio di distanziarsi dalla massa, di portare lutti e tragedie
sul palco scaldando l'anima di tutti noi.
di Elle Bi per la rubrica "MUSICA"
martedì 15 luglio 2014
NEWS: "IL “ROSEO” MONDO DELL’ IMMIGRAZIONE BENGALESE – Parte 1"
Una cosa che non ho potuto fare a meno di notare, tra l’infinità di cose che non si può fare a meno di notare nella Città Eterna, è la massiccia presenza di immigrati del Bangladesh. Questo fenomeno, se da una parte ha contribuito a far salire le mie skills di “rifiuto delle rose” da base ad avanzato, dall’altra ha alimentato una certa curiosità nei confronti di questo universo invisibile che è il Bangladesh romano.
Facendo alcune ricerche ho scoperto che Roma
è, dopo la capitale del Bangladesh Dhaka, Calcutta e Londra, la quarta capitale al mondo per numero di bengalesi. Una forte presenza di questo
gruppo etnico si trova tra Torpignattara e il Pigneto, tant’è che questa zona è
riuscita a guadagnarsi l’appellativo di Banglatown. L’immigrazione è soprattutto
maschile: si viene in Italia con l’intento di mantenere le famiglie lasciate a
casa. E per farlo si accetta di fare qualunque lavoro, supportati dalla
comunità, e con la speranza di riuscire a ritagliarsi un futuro migliore.
Tuttavia, se da un lato una consistente parte di questi migranti si riversa
all’interno delle cucine dei ristoranti – italiani e non – o dietro a banchi o
negozietti che vendono generi alimentari tipici e non solo, dall’altro una altrettanto
consistente parte svolge lavori, per così dire, di fortuna.
Oltre alla visibile presenza di “rosari”, venditori
di rose presenti in tutte le principali città d’Italia, a Roma vi sono altri
due ruoli ricoperti da ragazzi bangladeshi: il lavavetri e l’aiuto clienti alle
pompe di benzina – mi riferisco ai ragazzi che lavorano durante l’orario self-service. Probabilmente per
l’immenso dolore derivante dalla non rielezione di Iva Zanicchi come
parlamentare Europea, dal controllo sulla mente esercitato dalle scie chimiche
nonché dalla dieta a base di pasta che il mio stipendio da tirocinante mi
permette di concedermi, ho iniziato a pormi delle domande sulla possibile
esistenza di una sorta di cupola dietro ai bengalesi che svolgono una delle tre
professioni menzionate.
Dopo essermi fatto un giro nella colorata e
multietnica Torpignattara – che anche se non è Brick Lane, ha una presenza di
abitanti dell’etnia in questione di tutto rispetto – ho deciso di fare alcune
domande ad Asimasim, un ragazzo 22enne che lava i vetri al semaforo sotto casa
mia. Nonostante le mie (forse eccessive) aspettative, l’intervista si è
rivelata utile quanto un culo senza buco dato che il gap linguistico tra me ed il mio amico Asim, non colmabile neanche
con l’inglese, non ha permesso di portare le mie indagini dove volevo. In
realtà qualche notizia utile sono riuscito ad estrapolarla, ma andiamo per
gradi.
La mia prima conoscenza con i sempresorridenti amici del Bangladesh
risale a un po’ di anni fa, quando lavoravo nella ristorazione a Firenze. I
miei padroni nazifascisti mi intimavano di scacciare gli invadenti rosari che
disturbano i nostri avventori. Tuttavia, il generale senso di rifiuto di un
certo tipo di potere mi portò a diventare amico di quelli più gentili, che
lasciavo entrare di sgamo nel locale, facendo finta di non vederli. La mia
amicizia con il mondo Bangla si è poi consolidata in un successivo episodio,
svoltosi a 8mila metri di altezza su un volo della compagnia Airbangladesh, mentre
tornavo da un viaggio esotico. Il mio vicino di posto era originario di Dhaka e,
dopo avermi sorpreso rispondendo al mio: “Hi,
what’s your name?” con un calorosissimo: “A bello, me chiamo Nazim, faccio
er fornaro”, ha tradotto per me il messaggio che il capitano aveva diffuso
dagli altoparlanti nella sua lingua. Dandomi così la lieta notizia che stavamo
facendo una sosta ad Abu Dhabi perché il carburante stava finendo. La buona
fede e la simpatia di quell’uomo, che mi hanno fatto valutare se riunirmi al
gregge di Gesù Cristo una volta baciato il suolo a Fiumicino, mi sono sempre
rimaste nel cuore.
via Flickr |
Alla luce dell’affetto che nutro per questa
etnia, mi son sentito in dovere di indagare per sbarazzarmi della teoria
complottista che si è annidata nella mia mente, che ogni tanto si impossessa di
me portandomi a domandarmi: esiste un Don Rosario a capo della Banglamafia? Vi
è una sede segreta dove avviene la distribuzione tra i vari bengalesi dei semafori,
benzinai e piazze romane? Una volta avvenuta la distribuzione, si deve pagare
un pizzo per mantenere la propria zona? I bengalesi vogliono pijarse Roma?
Qui rientra
in gioco Asimasim. Nonostante la nostra conversazione abbia rasentato l’assurdo
più di una novella di Samuel Beckett,
sono riuscito ad ottenere delle informazioni di base che mi hanno permesso di
allontanare per un po’ le mie angosce sulla Banglamafia. All’opposto, la
conversazione con Asim mi ha portato a supporre che la comunità bengalese
romana sia il popolo segretamente eletto
da Carlo Marx per mettere in pratica la sua teoria comunista, tanto evidenti
erano i concetti di fratellanza, di condivisione e di uguaglianza. Asim ha
tracciato i rincuoranti contorni di una collettività pacifica che si aiuta nel
difficile task dell’integrazione in
terra straniera.
Tuttavia la
cosa non è bastata a farmi smettere di pensare alla possibile esistenza della
Banglacupola e così ho smosso i miei contatti per effettuare altre interviste
sul campo, per dare una risposta finale alle mie opprimenti domande. Su tutte: esiste
(e come funziona) una sorta di Banglamafia o, piuttosto, gli immigrati
Bangladeshi sono un modello di aiuto fraterno da cui imparare?
To be continued..
di IT per la
rubrica “NEWS DAL FUTURO”.
lunedì 14 luglio 2014
CINEMA: "STAND BY ME - Rob Reiner"
Tratto
da un racconto di Stephen King (The body) Stand by Me, uscito nel
1986, rappresenta il capostipite o punto di riferimento
imprescindibile (molto più del coevo I Goonies di Donner) per tutti
quei film che affrontano la tematica del travagliato passaggio
dall’infanzia all’adolescenza prevalentemente in forma di romanzo
d’avventura (esempio recente è stato Un’estate da giganti
dell’attore-regista Bouli Lanners). Quello di Reiner (conosciuto
per il divertentissimo Harry ti presento Sally) è senza dubbio un
piccolo capolavoro tanto semplice quanto coinvolgente ed emozionante
che racconta con sensibilità le avventure, le amicizie, il senso di
responsabilità di un gruppo di ragazzi nei quali non possiamo non
identificarci, perché le loro avventure sono state le nostre ed i
loro amici assomigliano così tanto ai nostri.
1959.
Un gruppetto di quattro ragazzini della cittadina di Castle Rock
(Oregon) venuti a sapere che il cadavere di un loro coetaneo
scomparso giorni prima è stato casualmente ritrovato nel bosco,
lungo la ferrovia, dal fratello di uno dei ragazzi, decidono di
incamminarsi, zaino in spalle, per coprire i chilometri che li
separano da quel corpo senza vita. Per prendersi il merito della
scoperta ma soprattutto per trovarsi di fronte a qualcosa che alla
loro età gli sembra tanto grande quanto misterioso: la morte.
Gordie
Lachance è il protagonista ed il narratore onnisciente (in voice
off) della storia, un ragazzo sensibile e molto intelligente
destinato a diventare uno scrittore (forse, nel racconto originale,
lo stesso King). Chris Chambers (il rimpianto River Phoenix) è il
suo inseparabile amico, leader carismatico del gruppo, considerato in
paese un poco di buono anche perché fratello minore di Caramello
Chambers, membro della banda di teppistelli della zona, capeggiata da
Ace. Teddy Duchamp è invece lo scemotto del gruppo il cui padre ex
militare è rinchiuso in manicomio. Vern Tessio, infine, è il
cicciottello un po’ ingenuo del gruppo. È soprattutto attraverso
il rapporto fraterno tra i primi due che Reiner ci fa provare un
insostenibile senso di nostalgia verso un’età della vita ormai
passata. Gordie e Chris con le loro rispettive debolezze (il
difficile rapporto con i genitori dopo la morte del fratello maggiore
tanto amato l’uno, la difficoltà di riscattare una ingiusta
cattiva reputazione l’altro) riescono a sostenersi e spronarsi
verso un percorso di crescita che, sospeso per il breve volgere di
un’estate, ben più del cadavere, li attende alla fine
dell’avventura.
Alla
fine, i nostri quattro eroi, riusciranno a trovare il corpo del
giovane ragazzo, ma più della meta, in questo caso, ciò che conta è
il viaggio, durante il quale scopriranno qualcosa di molto più
importante.
di Diccì per la rubrica "CINEMA"
sabato 12 luglio 2014
venerdì 11 luglio 2014
NEWS: "FLESSIBILITA' O NON FLESSIBILITA', IL MONDIALE CONTINUA"
All’indomani di un trionfo della Germania a Rio de Janeiro, un’altra partita ben più ardua si sta giocando ormai da mesi tra Roma e Berlino. In campo le squadre non sono certo formate da sportivi di grande caratura ma al contrario, una certa senescenza dei giocatori accomuna entrambe le formazioni. E la posta in palio non è la soddisfazione di sollevare in aria una grande coppa laccata d’oro, ma bensì quella di portare a casa una messa in discussione, o meno, del nuovo nemico numero uno: il fatidico tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e PIL, tanto caro a Weidmann, presidente della banca centrale tedesca, e compagni (formazione tedesca), e mai così stretto per Renzi e i suoi (formazione italiana).
A volte
mostrare un po’ i muscoli per cercare di soverchiare uno status quo poco
vantaggioso fa sicuramente parte di quella téchne
politica di cui Machiavelli fu un sopraffino speculatore. Anche la ricerca
di un capro espiatorio da dare in pasto ad una folla inferocita (l’elettorato)
fa sempre parte di un gioco proprio del centauro-politico (per usare ancora una
riuscita similitudine del pensatore fiorentino), che oltre al logos proprio
dell’uomo, non deve peritarsi di usare anche l’astuzia, propria di un animale
quale la volpe (da qui l’immagine del policy maker metà uomo e metà animale). Attenzione
quindi a scegliere per quale squadra tifare in questo grande “classico” quale è
Italia-Germania, partita dal significato squisitamente politico (oltreché
economico, certo) dove forse non è così scontato portare in alto i colori della
bandiera di casa propria.
Come scrissi
già in un articolo precedente, la scelta di un tale
limite fu piuttosto approssimativa ma sottintendeva una ratio dalla semplicità
quasi disarmante: il tasso di crescita medio nell’eurozona agli inizi degli
anni 90’ (quando, dopo Maastricht, la soglia del 3 per cento di deficit fu
estesa a tutti i paesi euro) ancora galoppava ed in una logica di lungo
periodo, questo avrebbe significato un sostanziale equilibrio del rapporto tra
stock del debito di un paese ed il suo prodotto interno. Alla luce di questa
prima osservazione quindi, ricordando che le stime OCSE del tasso di crescita
italiano di quest’anno sono pari allo 0.6 per cento, ed ipotizzando raggiunta
la soglia decretata da Bruxelles, vi è una forbice pari a 2.4 punti che si
traduce in un perpetrarsi della corsa del debito sovrano che da qualche anno
pare davvero inarrestabile (pari al 132 per cento lo scorso anno; durante la
crisi dello spread che portò alla nascita del governo Monti, tale valore si
aggirava attorno a 120 punti percentuali). Prendere a prestito danaro,
ricordiamoci, non è privo di conseguenze: nel 2013 gli interessi pagati
dall’Italia sono stati pari a circa 82 miliardi di euro ed ISTAT rivela che
ammontano a 318 i miliardi sborsati negli ultimi 4 anni per la stessa voce
d’uscita. Per un paese che non cresce (e che realisticamente non lo farà in
maniera davvero sostenuta ancora per molto; l’Italia è poi un’economia matura
ed è perciò irrealistico immaginarsi nuovamente tassi di crescita da “boom
economico”), questo significa continuare a condannare le generazioni presenti e
future ad avere una enorme spada di Damocle sempre appesa sopra la testa e ad
essere vittime potenziali del “sentiment” degli amorali mercati finanziari.
Alla prima nuova avvisaglia di inceppamento del motore italiano, lo spread col
Bund tedesco schizzerebbe ancora alle stelle e con questo, il costo di chiedere
nuovo debito: insostenibile sarebbe poter ripagare i nuovi e i precedenti
interessi e le conseguenze di un tale avvenimento sono facili da immaginarsi.
In un
celebre paper di Blanchard e Quah del 1989 inoltre, viene mostrato come
uno shock dal lato della domanda (come quello portato ad esempio da un aumento
di spesa pubblica non per investimenti) abbia sul PIL degli effetti aumentativi
in realtà temporanei, a maggior ragione in una situazione come quella attuale
dove il capitale è con tutta probabilità sottoutilizzato. ISTAT ha recentemente
dichiarato che il livello dei consumi nella penisola è tornato a quello di 12
anni fa. E’ normale quindi che si pretendano ancora delle riforme strutturali al
nostro sistema paese, il quale mostra ancora dei forti attriti interni alla
crescita che andrebbero assolutamente eliminati, prima di continuare ad
ingigantire un ormai mostruoso stock di debito con la scusante di pompare
carburante in un sistema dai molti problemi “tecnici”. E di margini di manovra
a guardar meglio sembrano essercene di numerosi. Durante il periodo tra il 2007
ed il 2013 ad esempio, dei 49.5 miliardi di euro di fondi strutturali europei,
solo il 40 per cento di questi è stato speso (fonte Il Sole24 Ore), mettendo in
luce tutta l’incapacità della macchina burocratica nostrana di gestire un tale
tesoro, in periodi di vacche magre come questi assai prezioso. Un più razionale
uso di tali risorse sarebbe sicuramente auspicabile.
Recentemente la Corte dei Conti ha poi lanciato un j’accuse contro quella foresta di aziendine ed aziendette a partecipazione regionale e comunale delle quali un terzo è in perdita e la cui gestione costa alle tasche del contribuente ben 25 miliardi l’anno. Sicuramente un serio e tanto millantato new deal dovrebbe tentare di colpire e limitare un tale insensato sperpero. Visto poi il poco senso di responsabilità mostrato dall’attuale classe politica che, nonostante la crisi profonda sembra formata da “stupide galline che si azzuffano per niente” (cit. Battiato), creare un precedente permettendo di superare l’attuale vincolo di bilancio imposto dall’Europa potrebbe verosimilmente rallentare quel processo riformatorio ora in atto e mai così necessario, la cui gestazione è ancora tumultuosa e che maggiore tempo (perché la questione del 3 per cento è soprattutto questo) potrebbe rallentare ed annacquare.
Recentemente la Corte dei Conti ha poi lanciato un j’accuse contro quella foresta di aziendine ed aziendette a partecipazione regionale e comunale delle quali un terzo è in perdita e la cui gestione costa alle tasche del contribuente ben 25 miliardi l’anno. Sicuramente un serio e tanto millantato new deal dovrebbe tentare di colpire e limitare un tale insensato sperpero. Visto poi il poco senso di responsabilità mostrato dall’attuale classe politica che, nonostante la crisi profonda sembra formata da “stupide galline che si azzuffano per niente” (cit. Battiato), creare un precedente permettendo di superare l’attuale vincolo di bilancio imposto dall’Europa potrebbe verosimilmente rallentare quel processo riformatorio ora in atto e mai così necessario, la cui gestazione è ancora tumultuosa e che maggiore tempo (perché la questione del 3 per cento è soprattutto questo) potrebbe rallentare ed annacquare.
Siete ancora
convinti di voler tifare gli “azzurri”? O forse cercare un posto nella curva
dei tifosi tutti wurstel, crauti e birra alla spina non è poi così insensato?
di Maste per
la rubrica "NEWS DAL FUTURO".
Iscriviti a:
Post (Atom)